Buongiorno a tutti! Oggi torneremo su un tema che nell’approfondimento dedicato agli Eidr e alla mitologia nordica ho solo sfiorato, i leggendari berserkir. Scopriremo come nel loro caso il confine tra mito e realtà sia difficile da identificare, andremo a caccia di figure analoghe in altre culture, infine parleremo un po’ di nativi americani e di come anch’essi abbiano contribuito a plasmarne l’immagine nel romanzo.
“I berserkir erano i più feroci e temerari campioni della Federazione, capaci di entrare in uno stato di trance durante il quale non avvertivano dolore e diventavano combattenti inarrestabili. Temuti persinodagli stessi Eidr, scendevano in battaglia solo al seguito del Reafan, come guardia personale del konungr, votati alla morte piuttosto che alla resa. Vivevano tutti insieme in un’immensa sala ricca di panche e focolari, serviti da giovani scelte per la loro avvenenza, dalle quali nascevano le nuove generazioni di guerrieri sacri.”
[Il Trono delle Ombre, capitolo 39]
Come vi ho anticipato nel secondo approfondimento del blog, i berserkir del mio libro non corrispondono esattamente a quelli della tradizione, bensì mutuano alcuni comportamenti degli einherjar, i campioni di Odino radunati nel Valhalla e accuditi dalla valchirie in attesa di partecipare allo scontro finale del Ragnarok. I guerrieri-orso (berserkir significa infatti “camicie d’orso”) avevano in comune con loro il legame con il padre degli Asi, ma non vivevano necessariamente insieme, sebbene talora siano descritti come una sorta di confraternita il cui animale totemicoi era per l’appunto l’orso, simbolo per i norreni della forza indomita e selvaggia della natura. Altre fonti però hanno portato a ipotizzare che la trance omicida in cui sprofondavano questi guerrieri, detta berserksgangr o furia del berserkr, fosse piuttosto uno stato di alterazione mentale persino ereditario, dato che sono state descritte famiglie di berserkir per generazioni. Potrebbe anche essere la ragione alla base della credenza secondo la quale dovevano rimanere celibi (il più delle volte disattesa, come vedremo). Altri ancora invece sostengono che la frenesia di cui cadevano preda fosse frutto del consumo di sostanze psicoattive, fattore che li accomunerebbe ad alcune pratiche sciamaniche.
Ma cosa li rendeva così speciali da ammantarli di leggenda, al punto che ancora oggi l’espressione inglese “gone berserk” indica una persona che ha perso il controllo in preda alla rabbia?
I guerrieri-orso scendevano in battaglia senza armatura, coperti solo di pellicce perché la trance che si impossessava di loro durante gli scontri li rendeva insensibili al dolore, tanto che secondo le fonti non temevano “né il ferro né il fuoco”. Erano così forti da poter uccidere un uomo con un solo colpo a mani nude e talmente feroci che mordevano addirittura gli scudi. La brama di sangue poteva portarli anche a fare figure piuttosto barbine: Snorri Sturluson, famosissimo autore dell’Edda in prosa e di altre opere sui vichinghi, narra che nell’anno 1000 alcuni di essi dimenticarono di trovarsi su una nave e annegarono in mare nel tentativo di saltare addosso ai nemici a bordo di un altro vascello. La furia dei berserkir era incontrollabile, infatti secondo un racconto talvolta dovevano allontanarsi e sfogarsi contro alberi e rocce, altrimenti avrebbero potuto uccidere chiunque capitasse loro a tiro. Scemato il furore, cadevano a terra spossati e in alcuni casi erano costretti a letto finché non si riprendevano.
Nonostante la loro pericolosità, il coraggio dimostrato sul campo di battaglia e la paura che incutevano ai nemici li resero molto apprezzati da nobili e re, perciò spesso facevano parte della loro guardia personale. Il fatto che fossero prediletti da Odino era un ulteriore vantaggio, perché chiunque li annoverasse tra le proprie fila poteva sperare nella benevolenza del dio. Pare che usualmente prestassero servizio in gruppi di dodici, un numero molto importante nella cultura norrena, perché univa il tre (la perfezione celeste/divina) e il quattro (la terra) e quindi simboleggiava l’essere terreno che si elevava verso il divino, che per un guerriero poteva significare l’ingresso nel Valhalla come eroe. La responsabilità di proteggere i condottieri faceva sì che essi si trovassero posizionati attorno alle loro insegne, ecco perché nel Trono li ho trasformati nei custodi del Reafan, il sacro stendardo del corvo.
Il brano che segue è tratto da un racconto sulla gesta di Kveldulf Bjalfason, hersirii norvegese del IX secolo, berserkr come il figlio Skallagrim. Incentrato sull’attacco a una nave approdata nei pressi del loro villaggio, si tratta di un eccellente esempio dei poteri sovrumani e della ferocia attribuiti ai guerrieri-orso.
“Kveldulf giunse sul ponte della nave, seguito da Skallagrim. Kveldulf brandiva una mannaia, e ordinò ai suoi uomini di andare sul ponte e spazzar via la tendaiii, mentre egli incalzava sul cassero. Si narra che lui e i suoi compagni venissero presi dal furore dei berserkir.
Uccisero tutti coloro che incontrarono sul loro cammino. Skallagrim […] e suo padre non si fermarono finché non l’ebbero ripulita.
Quando Kveldulf era giunto sul cassero, aveva alzato la sua mannaia e aveva spaccato l’elmo e il capo di Hallvardiv, e l’impugnatura si era conficcata nella carne. Nel tentativo di estrarla fece volare in aria Hallvard, scaraventandolo fuori bordo.
Molti uomini si lanciarono dalla nave, ma gli uomini di Skallagrim li inseguirono, uccidendo tutti coloro che raggiunsero. In questo modo perirono Hallvard e cinquanta dei suoi uomini”
E poi ancora, a proposito di un successivo combattimento tra un gruppo di guerrieri e Skallagrim:
“All’imbrunire, quando il sole era ormai tramontato, la situazione diventò critica per Thord ed Egill, poiché Skallagrim era diventato così forte che, afferrato Thord e sollevatolo in aria, lo scaraventò a terra, spezzandogli le ossa.”
Questa descrizione di una stirpe di berserkr viene invece da Saxo Grammaticus, storico danese dell’XII-XIII secolo:
“Questi [Sivaldo] aveva sette figli, i quali conoscevano talmente bene l’uso dei malefici, che, spesso eccitati da improvvisi attacchi di furore, solevano fremere minacciosamente con il viso, afferrare gli scudi con morsi, prendere con le fauci carboni ardenti, penetrare qualsiasi barriera di fuoco; né si poteva arrestare questo spirito di follia con alcun genere di rimedio, se non con l’ingiuria delle catene o con il sacrificio di una strage umana. Tutta questa violenza era loro ispirata dalla malvagità d’indole o dalla crudeltà della follia.”
Le differenze tra il brano su Kveldulf e quello sui figli di Sivaldo sono indicative del mutamento religioso e morale avvenuto in Scandinavia a partire dal X-XI secolo, quando il Cristianesimo si diffuse anche nelle terre del Nord. Mentre nel primo testo non è percepibile alcun giudizio morale nei confronti dei berserkir, ma ci si limita a un resoconto delle loro gesta, violente come tutta la società vichinga (in Norvegia per esempio gli strandhogg tra connazionali dovettero essere vietati al fine di limitare spedizioni fratricide), nell’ultimo è evidente il biasimo nei confronti dei guerrieri invasati. Si mescolano i cenni alla furia come malattia all’ipotesi che si tratti di malvagità o persino di magia nera, perché i cristiani la ritenevano una forma di possessione diabolica curabile con la preghiera e il battesimo. L’antica religione pagana venne demonizzata, gli Asi furono trasformati in figure quasi caricaturali umiliate di volta in volta dai santi cristiani o dai miracoli, mentre i berserkir vennero banditi per legge dalla Norvegia nell’XI secolo e dall’Islanda in quello successivo, portando allo scioglimento delle bande di guerrieri. Una saga islandese contemporanea all’evangelizzazione dell’isola narra addirittura di come il vescovo Fridrek abbia attirato in trappola e fatto uccidere a bastonate (si credeva ancora che fossero invulnerabili alle armi di ferro) due berserkir.
Simili ai guerrieri-orso erano gli ulfhednar, letteralmente “casacche di lupo”, uomini consacrati a Odino e legati allo spirito del lupo che combattevano avvolti nelle loro pellicce, per la precisione casacche senza maniche dotate di un cappuccio, verosimilmente la testa del lupo stesso. Sebbene nella tradizione talvolta si confondano con i berserkir dati i numerosissimi tratti comuni, queste figure sono interessanti perché probabilmente più vicine ai loro antenati germani. A proposito di questi ultimi, Tacito racconta che la scarsità di ferro impediva loro di proteggersi con delle armature, dando origine all’usanza di dipingersi il corpo con pitture rituali destinate a intimorire il nemico e preservare i guerrieri dalle ferite.
Eccone una descrizione:
“Truci di aspetto, accrescono la loro naturale ferocia con l’arte e con la scelta del tempo. Hanno scudi neri, corpi tinti; per combattere scelgono le notti oscure; il solo orrore di questo esercito di fantasmi semina lo spavento, poiché non vi è nemico che sostenga il loro aspetto straordinario e quasi infernale.”
[De origine et situ Germanorum, XLIII]
Successivamente pare che alcuni germani abbiano cominciato ad agghindarsi con pelli di lupo, tanto che alcuni storici li avrebbero individuati tra i contingenti alleati ritratti sulla Colonna Traiana, in cui sono raffigurati dei fanti in marcia con casacche di pelliccia. Il vescovo Bonifacio di Magonza, acerrimo nemico del paganesimo, nel VII-VIII secolo d.C. predicò contro i germani che vestivano pelli o cinture di lupo o addirittura di pelle umana, sempre con l’intento di acquisire la forza e le caratteristiche dell’animale.
Si può ipotizzare che tali credenze, una volta giunte in Scandinavia, siano stati influenzate anche dal vicino sciamanesimo finlandese (i vichinghi ritenevano i finni un popolo di maghi). Gli sciamani finnici, appartenenti a una società ancora fortemente tribalizzata e legata alla natura da un rapporto simbiotico, dato che le difficili condizioni della loro terra ostacolavano l’agricoltura e spingevano a uno stile di vita basato su pastorizia nomade di renne e caccia, raccolta e baratto, credevano infatti di potersi trasformare in orsi, lupi, renne o pesci, similmente a ciò che tramandano alcune saghe sui primi berserkir e ulfhednar, che combattevano sotto le sembianze del loro animale sacro.
La metamorfosi è un elemento tipico dei culti incentrati sul ruolo dello sciamano come intermediario tra il mondo materiale e quello degli spiriti, dove egli viaggia dopo aver abbandonato il proprio corpo, potendo quindi assumere la forma dell’animale sacro per la sua gente o che possegga le caratteristiche utili in quel momento. Il tipo di animale naturalmente varia in base al luogo in cui vive la tribù, per esempio tra gli inuit si veneravano orsi, lupi e foche, presso le tribù americane del nord-ovest agli orsi e ai lupi si affiancavano caribù e corvi, nelle giungle amazzoniche i giaguari, tra gli aborigeni australiani canguri, aquile e iguane.
Anche tra le caste di guerrieri d’elite ci sono delle somiglianze, per esempio gli aztechi annoveravano tra le fila del loro esercito due corpi scelti: i guerrieri-giaguaro e i guerrieri-aquila. Proprio come gli omologhi scandinavi, credevano che la particolare tenuta avrebbe conferito loro la protezione e le caratteristiche dell’animale scelto, inoltre erano considerati tra i migliori soldati aztechi (del resto erano militari di professione, mentre gli altri erano contadini mobilitati in caso di guerra) e combattevano al centro della formazione.
L’equipaggiamento base era costituito da una tunica di cotone imbottita e trapuntata spessa tre dita, chiamata ichcahuipilli, che arrivava fino alle ginocchia ed era in grado di fermare una freccia o un giavellotto scagliato da una certa distanza. I guerrieri-giaguaro, detti ocelotl, sopra di essa indossavano una pelle dell’omonimo animale, con la testa che ne ricopriva il capo, in modo che la faccia spuntasse attraverso le fauci della belva. I guerrieri-aquila invece ricoprivano la loro tunica imbottita con piume d’aquila e indossavano copricapi che riproducevano la testa del rapace, facendo emergere il viso dal becco. Entrambi inoltre erano dotati di scudi di legno decorati con piume, intarsi dorati e con l’emblema personale del guerriero. L’arma tipica per il corpo a corpo era la maquahuitl, un largo spadone di legno con affilatissime schegge d’ossidiana conficcate nelle scanalature laterali.
In Africa invece almeno fino all’inizio del ‘900 furono presenti confraternite, spesso segrete, di uomini-leopardo in Congo, uomini-pantera nell’ex Guinea francese, uomini-scimpanzé in Senegal e uomini-coccodrillo in Sierra Leone.
Non è difficile immaginare come antiche credenze e figure così pittoresche, a partire dagli ulfhednar, abbiano potuto stimolare la fantasia e dare origine alle leggende sulla licantropia presenti in tantissime culture!
In apertura vi ho promesso un cenno ai nativi americani e alla loro influenza sullo status dei berserkir nella società eidr, ora vi spiego perché. Come avete visto, i miei guerrieri-orso sono piuttosto addomesticati rispetto alle loro controparti reali e, almeno in tempo di pace, non somigliano ai pazzi sanguinari della tradizione. Nonostante siano comunque temuti, sono eccellenti custodi del luogo più sacro degli Eidr ed è considerato un privilegio che possano perpetuare la loro stirpe e tramandare il proprio dono attraverso le generazioni. Si può affermare che formino una sorta di setta con regole e riti volti a ricreare il misticismo del Rekborg e delle ermodi, i corrispettivi eidr del Valhalla e delle valchirie. Da questo punto di vista una fonte di ispirazione sono state le akicita, le società militari degli indiani delle pianure come le genti Lakota e Cheyenne. Le akicita erano circoli più o meno esclusivi di guerrieri volte a organizzare le spedizioni di guerra, di caccia e al mantenimento dell’ordine nei campi estivi e durante gli spostamenti. I capi tribù all’inizio della buona stagione incaricavano una delle società militari di fungere da polizia del campo e ai suoi membri era data la facoltà di punire chiunque mettesse in pericolo la comunità: potevano confiscare i beni del colpevole, distruggerli o persino ucciderlo se si era macchiato di gravi delitti. Durante le battute di caccia al bisonte o in guerra erano i membri delle società più prestigiose e rispettate a guidare gli altri guerrieri e soprattutto a cercare di tenere a bada i giovani a caccia di bottino e onore, in modo che non compromettessero l’azione per mettersi in mostra. L’aspetto che ho trovato più interessante rispetto alle usanze eidr è il fatto che le varie società militari avessero rituali propri e potessero beneficiare dell’aiuto di giovani vergini per le cerimonie, anche se dubito che i miei berserkir siano altrettanto casti nei confronti delle loro avvenenti ancelle. I “Soldati del Cane” cheyenne, inoltre, avevano il permesso di formare un proprio cerchio di tende, isolandosi proprio come i berserkir nel Valaskjalf.
Tra le altre famose akicita cheyenne meritano una menzione particolare i Contrari, una confraternita senza capi, composta solo da uomini celibi che si impegnavano a vivere tutto al contrario, compreso il linguaggio, tranne i combattimenti. In battaglia si dipingevano il corpo di rosso e non si arrendevano né fuggivano mai, anzi si legavano una fascia alla vita e la fissavano a terra con un piolo, per essere sicuri di non indietreggiare.
Tra i Lakota vi segnalo i Tokala (Cuccioli di Volpe), rinomati per il loro coraggio e la disciplina, oltre che fidati custodi dell’ordine dei campi estivi; i Sotka Yuha (Portatori di lancia disadorna), di cui si poteva diventare membri solo se cooptati da un capo; i Cante Tinza (Cuori Forti) Hunkpapa, di cui fu capo per molti anni il celebre Toro Seduto; gli Iku Sapa (Menti Neri), che in battaglia e nelle cerimonie si dipingevano il mento di nero.
Tra i Piedi Neri si distinguevano i Portatori del Corvo, le cui lance erano ricoperte di piume e guidata da capi adorni di piume, becchi, zampe e ali di corvo.
Tra gli indiani Arikawa invece vi erano società in cui i guerrieri portavano gambali di pelle con una frangia per ogni atto di valore compiuto, e altre, come la Società del Cavallo Pazzo, incaricate di sovrintendere a tutte le cerimonie della tribù per controllare che venissero eseguite correttamente. Quest’ultimo aspetto per me è stato interessante, dato che intendevo rendere i berserkir custodi dell’intero complesso sacro del Valaskjalf e dello stendardo Reafan, con tutte le responsabilità che ne derivano sul piano religioso. Mi sarei potuto basare anche su ordini monastico-militari come i Templari, l’ordine Livoniano, i Portatori di Spada o l’Ordine Teutonico, ma la differenza concettuale tra dei monaci e i rozzi guerrieri eidr mi sembrava eccessiva, per cui trovare un esempio calzante all’interno di una realtà meno formale e gerarchizzata è stato rassicurante!
Come avete avuto modo di leggere, ancora una volta dietro a elementi apparentemente semplici e secondari (ma solo per ora! In futuro i guerrieri-orso e il Reafan saranno chiamati allo scontro…) si celano suggestioni provenienti da varie culture e parti del mondo. Del resto, anche senza voler praticare sincretismi, è evidente come le ancestrali radici comuni e la natura umana abbiano spinto civiltà molto lontane e tra loro sconosciute a sviluppare figure e tradizioni simili. Non lo trovate incredibilmente affascinante? 🙂
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Letture consigliate:
Buona parte dei libri a cui ho attinto sono già stati segnalati nei precedenti approfondimenti sui miti nordici e sulle origini degli Uomini Bestia, per cui cito solo nuovi testi.
H. Wolfram, I germani, Il Mulino
E. Petoia, Vampiri e lupi mannari, Newton Compton
T. Wise, I conquistadores, Eserciti e battaglie n.43, Ed. Del Prado
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iUn totem è un animale, una pianta o una creature mitologica che incarna i valori e le credenze di un gruppo di persone, oppure a cui il gruppo fa ricondurre le proprie origini ancestrali. I pali a cui normalmente ci riferiamo con il termine “totem” sono così definiti in modo improprio, poiché si tratta solo di rappresentazioni dei totem veri e propri.
iiCapo politico e militare minore tipico del nord Europa, governava un territorio in grado di sostentare un centinaio di famiglie. Nel Trono gli hersir degli Eidr sono essenzialmente dei capi villaggio o poco più.
iiiLe navi lunghe vichinghe non avevano un ponte coperto, perciò per riposare a bordo l’equipaggio montava una tenda in mezzo ai banchi dei rematori.
ivIl comandante del vascello attaccato.